“Niente di ciò che abbiamo posseduto nella mente una volta può andare completamente perduto”
(Sigmund Freud)
Sin dal primo momento, fui affascinata dal poter sperimentare come il linguaggio, parlato e non, potesse avere ripercussioni, anche assai rilevanti, sul comportamento di chi ascolta.
Mi soffermavo ad osservare come ogni narrazione, intesa anche quale “semplice” esposizione dei fatti, non fosse mai completamente oggettiva.
Tutto quello che la mente trasformava in “parole”, prima era stato necessariamente “pensiero”.
Compresi subito che non potesse esistere un pensiero “asettico”, non “contaminato” da emozioni, non “radicato” nel substrato esperenziale di ciascuno di noi, in quel vissuto, intimo ed esclusivo, nel quale si nutriva e proliferava.
Era da quel groviglio di interazioni e stratificazioni emotive, ogni volta diverse e nuove, che originavano le molteplici diversità di pensieri e di parole utilizzate per raccontare, litigare, fare pace, anche quando si voleva esprimere lo stesso concetto.
Divenne un gioco affascinante e misterioso, coinvolgente e impegnativo ma accettai la sfida, e decisi di fare il “Mediatore”.
Sarò per sempre grata ai numerosi docenti che, con competenza e capacità, negli ultimi 15 anni mi hanno fornito le basi e gli strumenti per poi avventurarmi da sola all’interno delle menti altrui.
E’ questo che deve saper fare un bravo Mediatore: entrare nella mente di ogni soggetto, carpirne i pensieri più reconditi, le volontà non espresse, farli riaffiorare dalla polvere del tempo, liberandoli dai macigni del rancore e poi, ancora, lasciare che essi cedano al fascino misterioso del “detto senza dire”.
Chi si ferma alle affermazioni verbali delle parti, forse, potrebbe essere un ottimo Notaio, mai un Mediatore!
A volte può essere difficile ammettere certe cose anche avanti a sè stessi, figuriamoci confessarle ad altri, per giunta estranei.
Per questo, il “detto senza dire” diventa uno strumento formidabile nelle mani di chi lo sa usare.
Il Mediatore deve saper leggere tra le righe, ascoltare ed interpretare i silenzi, ancor più delle parole, e dire o tacere al momento giusto.
Deve prendere l’iniziativa di fare una proposta, appena capisce che chi ha di fronte non aspetta altro, ma quelle parole non verranno mai fuori dalla sua bocca, perché potrebbero essere viste come manifestazione di debolezza.
Il Mediatore non deve fare l’Avvocato, anche se di fatto, spesso, lo è per formazione e professione.
L’Avvocato deve necessariamente restare legato “alle carte”, a tutto ciò che può essere tangibilmente provato e supportato.
Il Mediatore, al contrario, visto che ne ha il potere, deve avere la capacità di scriverle “le carte”, nel senso che può e deve dare voce e concretezza a pensieri appartenenti alla categoria del “detto senza dire” che, se non in sede di mediazione, non troveranno mai altro luogo idoneo per essere espressi.
Così, in questa netta dicotomia tra “concreto” e “astratto”, si distinguono chiaramente le principali peculiarità che caratterizzano le due figure professionali e i due “linguaggi”.
Mentre l’Avvocato può essere solo concreto e di parte, il Mediatore deve avere la fantasia necessaria per “inventare” soluzioni ed accontentare tutte le parti.
La differenza tra le due figure ed i due ruoli viene perfettamente percepita dalle parti.
Infatti, se uno degli Avvocati esprime una valutazione o propone una soluzione, per quanto possa essere giuridicamente o logicamente corretta, essa non sarà mai presa nella giusta considerazione dall’altra parte e, sovente, nemmeno dall’Avvocato che l’assiste.
Il perché è di facile intuizione: viene dalla parte avversa.
E’ il linguaggio, verbale e non, ad essere diverso, rispetto a quando è il Mediatore a dire la stessa cosa o, piuttosto, cambia il “filtro” mentale attraverso il quale passa l’informazione?
Delle due, la seconda è, senza ombra di dubbio, la risposta corretta!
Il processo mentale che si attiva è logico e, quasi sempre, speculare:
Viceversa, il Mediatore è una figura neutrale che si pone equamente vicino e mai distante da ciascuna parte.
Nelle sedute separate, egli diviene il depositario di segreti e di informazioni riservatissime, che gli vengono rivelate solo dopo che si è meritata sul campo la fiducia dell’altro.
Qui il filtro mentale è nettamente diverso ed il processo mentale che si attiva è altrettanto logico e contestuale tra tutte le parti:
La difesa dal “nemico” è un istinto atavico, tanto quanto l’alleanza con l’amico è un fatto del tutto naturale.
Questi meccanismi mentali funzionano sempre come filtri inconsci, attraverso i quali passano, ineluttabilmente, tutti i nostri pensieri, nel momento stesso in cui li costruiamo.
Dalla costruzione del pensiero astratto, alla concreta formulazione verbale dello stesso, poi, c’è ancora un altro passaggio importante.
Potremmo definirlo “il filtro della opportunità”.
Non sempre è “opportuno” dire apertamente tutto ciò che si pensa e nel modo in cui lo si pensa, anzi, probabilmente, dovremmo prestare molta più attenzione di quanta non gliene si dia normalmente a ciò che si dice ma, ancor più, a come lo si dice!
L’utilizzo o il mancato utilizzo di questo “filtro” fa spesso la differenza tra una conversazione amichevole ed una lite.
Utilizzarlo, tuttavia, non vuol dire essere “opportunisti” o, peggio ancora, “falsi”.
Chi fa suo l’utilizzo del “filtro della opportunità” è quasi sempre una persona la cui sensibilità travalica l’egoismo di una propria affermazione per immedesimarsi, empaticamente, in come l’altro possa recepirla, nel caso in cui la sentisse senza il “filtro”.
Esprimere pensieri che possano urtare la sensibilità dell’altro, anche solo per il tono della voce, non è mai l’inizio di una conversazione amichevole e fa si che chi ascolta si chiuda immediatamente in difesa, tranciando di colpo ogni possibilità di ascolto e condivisione da parte dell’altro.
Per questo, ogni buon Mediatore deve necessariamente dotarsi di questo filtro!
Infine, non bisogna dimenticare che anche il miglior Mediatore è sempre e comunque un essere umano, col suo vissuto, la sua cultura, il suo Humus, le sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi difetti e le sue debolezze.
La cosiddetta “sospensione del pensiero” è tanto facile a dirsi quanto difficilissima da attuarsi.
Tuttavia, anche se questo può costare tanta fatica, si cerca di fare sempre il possibile per svolgere al meglio la nostra missione...non impossibile!
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